Non solo sorrisi, strette di mano, selfie e approfondimenti prospettici sulle aree interne. La giornata di Elly Schlein nel Pollino, per gli stati generali della aree interne, ha riportato la segretaria del Partito Democratico al confronto diretto con alcune problematiche che i dem vivono in Calabria e soprattutto nell’area cosentina. La base è stanca di alcuni atteggiamenti rituali della classe dirigente un cambio di passo per far tornare il partito «ad essere plurale e partecipato» capace di aprirsi per diventare «palestra di confronto politico e programmatico e soprattutto possa costruire un processo virtuoso che ponga fine alla logica del “meno siamo e meglio stiamo”, in maniera che anche i nostri territori diventino protagonisti del cambiamento del Paese».
Tante le firme autorevoli sotto il documento consegnato ieri a Mormanno nelle mani del segretario nazionale solo con l’intento di fare il bene del partito e che il Pd diventi «capace di costruire un nuovo “Caso Calabria” moderno, democratico, civile e di ampia partecipazione popolare come fu, diversi decenni or sono, la grande battaglia per “l’occupazione delle terre incolte ed abbandonate delle zone interne e montane” portato avanti dai partiti della Sinistra e dai sindacati».
L’analisi approfondisce l’atteggiamento ma anche i dati elettorali degli ultimi anni ponendo l’accento sul fatto che le sconfitte politiche del Pd a livello elettorale più che «essere frutto dell’iniziativa e dell’azione politica ed amministrativa del Centro Destra, sono da ascrivere all’incapacità dei gruppi dirigenti del PD, monolitici nel controllo asfissiante del partito, ma in perenne conflitto fra loro nell’intestarsi ruoli e funzioni soprattutto di carattere istituzionale». Ad esempio di questa tesi le posizioni assunte nell’ultimo congresso nazionale dalla quasi totalità dei dirigenti calabresi schierati con Bonaccini (ritenuto il cavallo vincente) salvo poi abbandonarlo «dopo la sua sconfitta per trovare sostegno e “protezione” in nuovi referenti nazionali».
Frutto di una «subalternità culturale di natura coloniale – scrive la base del partito alla Schlein – che da tempo colpisce le classi dirigenti, soprattutto politiche, della nostra Regione. Fedeli, si fa per dire, a chi comanda a Roma per essere liberi in Calabria di poter realizzare le proprie aspettative personali di potere». Se per molti questa situazione diventa irreversibile per chi scrive assolutamente no.
Basta solo però iniziare in un’opera riformatoria del partito nella quale il gruppo dirigente del Pd calabrese deve «superare ed abbandonare i propri conflitti interni, derivanti dai propri interessi personali di carriera politica ed istituzionale e dedicarsi a tempo pieno alla Politica». Saprà farlo? è la domanda che si pongono gli iscritti cosi come e che pongono al gruppo dirigente nazionale. Ma questo è il «minimo sindacale» per «potere ripartire, tutti insieme, e recuperare quel terreno perduto in termini di consenso politico ed elettorale che ancora, solo per questione di tempo e per la storica tradizione dei partiti di sinistra, non si è ancora radicato e strutturato elettoralmente nel Centro Destra».
Se “caso Calabria” in positivo ci vuole essere allora – continuano a scrivere la buona parte dei firmatari del documento per la Schlein – bisogna capire se il pd vuole «essere e rappresentare l’architrave di alleanze politiche e sociali capaci di invertire la grave crisi in atto e contribuire alla rinascita della Calabria e più complessivamente essere protagonista, insieme alle forze progressiste del Paese, di un alternativa forte, credibile, radicata e necessaria all’attuale governo Meloni».