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IL RICORDO

«Questo sistema malato non è stato in grado di proteggerti»: la lettere straziante della figlia di Edison Malaj

La figlia dell'operaio schiacciato da una lastra di cemento, nel febbraio scorso, lo ricorda insieme alle altre vittime sul lavoro

Sono stati 1221 i morti per lavoro nel 2021, poco meno (1208) l’anno successivo. Uno stillicidio di uomini, donne, storie di vita che continua senza sosta anno dopo anno. Più di mille (1041) nel 2023 e già 191 nel 2024. Numeri terribili di una strage che continua e che dietro la fredda cronaca delle statistiche racconta di nomi, di famiglie dilaniate dal dolore. Di gente comune che è uscita al mattino per lavorare e non ha fatto più ritorno a casa.

Vittime di un «sistema malato» che «non è stato in grado di proteggerti» scrive Sara, la figlia di Edison Malaj, morto a Frascineto nel febbraio scorso, schiacciato da una lastra di cemento che stava movimentando nel cantiere dove lavorava insieme ad altri colleghi nel piazzale dell’ex cantina sociale. A quattro mesi da quella terribile morte la famiglia dell’operaio albanese ha deciso di tenere vivo il ricordo dell’uomo che amava la vita ed era arrivato in Italia insieme alla moglie Silvana «guidati da un grande amore: garantire un futuro dignitoso alla loro famiglia, a loro figlia» scrive la giovane.

A pochi giorni dalla terribile fine di Satnam Singh, morto tragicamente in centro Italia, si ripropone il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, in una battaglia che – aggiunge la figlia Sara – «sarà piena di ostacoli e farà male, noi non abbiamo paura». Edi, come lo chiamavano tutti, era «un grande lavoratore, persona molto pacata, riservata, disponibile e buona». Uomo «umile» – continua la figlia nel ricordo di suo padre – senza «grosse pretese» che «non ha avuto una vita fatta di ricchezze materiali. Una di quelle persone su cui sapevi di poter contare, lo chiamavi e lui era lì ad ascoltarti».

Questo lavoro da operaio «stava diventando pesante», lo si leggeva «dai suoi occhi» ma al contempo «era felice» – aggiunge la famiglia – «perché era riuscito a costruire, era riuscito a dare amore. Papà, a nome di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averti nella loro vita, anche per un breve istante, l’amore che hai dato è dentro ognuno di noi. Papà, ti rivediamo negli occhi delle persone che ti vogliono bene».

«Scusaci – conclude la lettera – se questo sistema malato non è stato in grado di proteggerti. Scusali se la dignità di chi non c’è più viene sepolta da quella di chi continua a rimanere in vita.  Scusali se parlano di te come un numero. Scusali se fino all’ultimo non hanno avuto cura della tua anima».

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