Dieci anni sono passati da quando, nel 2014, l’allora amministrazione comunale guidata dal sindaco Vincenzo Tamburi decise di dare vita allo Sprar (questa la sigla di quell’epoca) e far diventare la cittadina arbereshe di San Basile uno spazio di accoglienza e integrazione per i richiedenti asilo e i profumi in fuga dalle situazioni più difficili del mondo. Dieci anni di progetto, porte aperte, esperienze, condivisione, sempre dalla stessa parte: quella delle donne, degli uomini, dei bambini e delle famiglie che da 14 paesi diversi sono venuti ad abitare sul Pollino, trovando «una comunità che li ha sempre fatti sentire parte integrante di essa, senza mai confinarli in un ghetto di emarginazione».
Cosi Caterina Pugliese, responsabile del progetto Sai (come è definito adesso) di San Basile, ha commentato la festa da poco conclusa per celebrare i dieci anni di esperienza compiuti dall’associazione don Vincenzo Matrangolo presieduta da Giovanni Manoccio. «Il progetto di accoglienza – ha ricordato il presidente Manoccio – partito come Sprar, poi diventato Siproimi e oggi Sai ha cambiato nome ma non la sua identità. Si mantiene alto l’obiettivo di accoglienza e integrazione, rendendolo funzionale alla crescita degli ospiti e della comunità ospitante, in una ottica di corresponsabilità che ci caratterizza e qualifica i nostri progetti».
Oggi quella esperienza è confermata dal neo sindaco di San Basile, Filippo Tocci, che nel decennale del Sai ha ribadito come «questa comunità sarà sempre uno spazio aperto, con le braccia tese verso chi ha bisogno di aiuto e sostegno. Siamo diventati una cittadina multietnica e siamo orgogliosi di esserlo anche ricordando il viaggio dei nostri antinati che sono fuggiti da un’altra terra cercando una nuova casa e qui hanno trovato il terreno fertile, di umanità e non solo ambientale, per costruire una storia nuova. Cosi come noi intendiamo farlo per gli uomini e le donne che qui arrivano per rifarsi una vita».
L’esperienza ormai consolidata sul territorio è pronta ad affrontare altri anni ancora. «Il nostro – ha concluso Caterina Pugliese – è un lavoro dinamico, per niente noioso. Lavorare con le persone ha sempre nuove e inaspettate pagine da scrivere. Esserci riusciti fino ad ora è stata una grande gratificazione e siamo orgogliosi di poterlo continuare a fare».