C’è un confine sottile tra modernità e flessibilità che mette al centro la tavola e la sua tradizione gastronomica. Nei territori, soprattutto quelli piccoli, il concetto di trattoria è estremamente contemporaneo non soltanto e non solo perché sa essere fedele alla tradizione, ma perchè, il radicamento all’identità di un contesto, sa stare al passo con i tempi interpretando i cambiamenti della ristorazione, senza vendere l’anima al diavolo del consumo, ma riuscendo a rispondere ai bisogni dei commensali.
La trattoria contemporanea allora diventa elemento chiave per leggere i territori e approfondire, partendo dalla cucina ma soprattutto dalle storie dei suoi protagonisti, ciò che accade nel variegato mondo della enogastronomia. Di questo e molto altro ha parlato a Bologna, all’interno dell’evento + Gusto di Repubblica, Marianna Nicoletti elemento distintivo della sala del ristorante L’oste d’arberia a Civita, che condivide l’esperienza gastronomica caratterizzata dalla forte identità arbereshe, insieme al marito Gregorio Buccolieri (in cucina) e la mamma Cristina.
Intervistati da Antonio Scuteri, caporedattore de Il Gusto, anche Irina Steccanella, della trattoria Irina di Savigno e Arcangelo Dandini, de L’Arcangelo, che insieme a Marianna hanno provato a disegnare il profilo della terza via tra giovani chef e nuove formule lontane dagli schemi del menu degustazione e dei piatti tipici, in un contesto dove i cambiamenti dei contesti culturali, sociali, economici anche accentuati dalla crasi della pandemia, hanno dovuto gioco forza segnare, per i ristoratori, una nuova strada da percorre tra vite che cambiano vita all’interno della stessa esistenza.
La storia di Marianna e Gregorio è segnata da una grande contaminazione che si esprime in termini culturali, gastronomici ma anche generazionali. Da una parte la forza identitaria di mamma Cristina, donna con una grande artigianalità tra le mani e legata al contesto arbereshe di cui ne è ambasciatrice anche senza saperlo, e Gregorio che nella sua moderna visione sa essere rispettoso di una tradizione radicata alla quale però fa percorrere nuove strade con la capacità che sa avere chi sa fare sintesi del sapere e della visione contemporanea. Un melting pot di gusti e saperi che raccontano il legame profondo con i piccoli produttori del territorio che si traduce in una cucina «rievocativa, fatta di ricordi» – racconta Marianna Nicoletti – che rimanda al passato trasformando L’Oste d’Arberia in un laboratorio gastronomico brillante e dinamico.
La filosofia è semplice ma efficace «mettere il territorio nel piatto» arricchita dal contesto, una casa del 1900, che trasferisce la dimensione domestica di una cucina di qualità, genuina, identitaria, minimale. Al centro c’è la sostanza, il gusto, l’orgoglio di una identità, quella arbereshe, che si percepisce nell’accoglienza generosa, si osserva nei ricami che impreziosiscono la tavola, si gusta nei piatti che sono espressione di una radice vera e non ricercata, che vive nei gesti quotidiani di una storia che si fa quotidiana passione di far da mangiare, a tutti.